Mistretta-Inaugurazione della scultura lignea Noi
L'artista Nino Lipari dona alla comunità l'opera scultorea Noi ricavata dal tronco di un abete centenario abbattuto
halaesanebrodi 12/08/2024 0
Non si è ancora spenta l'eco dell'inaugurazione a Torremuzza del murales La via del mare che il territorio di Halaesa-Nebrodi si arricchisce di un'altra importante e suggestiva opera d'arte: Noi: inizio di una nuova vita, di Antonino Lipari, per tutti noi Nino.
Ci troviamo a Mistretta, all'interno della maestosa Villa comunale intitolata a Giuseppe Garibaldi e l'opera d'arte sorge laddove, fino ad un tempo ancora recente, svettava maestoso un esemplare di Abete rosso (Picea abiens).
Il ciclo della vita ci abitua al suo incedere altalenante nel quale la vita precede la morte e la morte-talvolta-genera la vita e così, dopo alcuni secoli di silenziosa e imperturbabile esistenza, l'abete si ammala in maniera irreversibile fino al punto che, per salvaguardare l'incolumità pubblica, le autorità cittadine circa un anno fa ne decretano l'abbattimento.
La comunità si comincia ad interrogare su come colmare quel grande vuoto lasciato dalla prossima scomparsa del maestoso albero e, nelle more di prendere le dovute iniziative, gli amministratori decidono di tagliarne completamente la chioma, oramai irrimediabilmente ammalata, e di preservarne la grande maggioranza del fusto, sufficientemente sano fino al punto da immaginare un riutilizzo del legname risultante.
Ecco che, ad un certo momento, bussa alla porta del sindaco un giovane falegname mistrettese, Nino Lipari che, con il garbo che gli è proprio, suggerisce di ricavare dal tronco rimanente, un'opera d'arte, una scultura: "Penso a tutto io"-dice Nino-"e non voglio essere pagato".
C'è da dire che Nino non è nuovo all'arte dello scolpire in legno, già in passato, attraverso committenze private, ha dato testimonianza delle sue abilità artistiche che travalicano quelle dell'essere un semplice, se pur bravissimo, artigiano ma adesso le cose diventano decisamente più serie e si dovrà mettere in gioco esponendo il suo lavoro al pubblico giudizio. Ma Nino è sicuro di sè, sa quello che fa, ha le idee chiare e sa che ha pure le capacità per realizzarle e cosi' facendo acquista immediatamente la fiducia del sindaco e dopo pochi mesi dall'abbattimento prendono il via i lavori.
Viene chiuso l'accesso al viale di sinistra che porta alla piazzetta centrale della villa, vengono posizionate delle reti oscuranti e, contestualmete, cresce la curiosità dei passanti che a malapena riescono ad intravedere un'impalcatura, la sagoma del tronco dell'abete e quella di Nino che gli si muove attorno, ma nulla di più. I lavori durano alcuni mesi e finalmente, la sera dell'11 agosto, si procede con l'inaugurazione dell'opera d'arte, contestualmente al ripristino dell'illuminazione della cancellata principale della villa comunale.
Noi sboccia all'imbrunire di una piacevole sera d'agosto in contrapposizione con i tristi giorni del taglio della maestosa pianta-madre che lo ha tenuto in grembo per tre secoli. In questo percorso che intreccia la vita alla morte e che consente alla morte di generare vita, Nino avverte la presenza, in quel tronco altrimenti consegnato alla tristezza dell'abbandono e dell'oblio se non della distruzione, di un'occasione di rinascita, di rigenerazione che può prendere forma attraverso le sue mani, i suoi attrezzi e il suo cuore.
Nino sceglie allora di cimentarsi in una rielaborazione de L'abbraccio di Josè Louis Santes e decide, così, di celebrare l'amore per la sua terra attraverso il tenero e perenne abbraccio tra due amanti. Un semplice ma significativo gesto che ci riconduce all'essenziale, all'ossigeno con cui respiriamo, al sentimento principale di cui tutti Noi ci nutriamo: l'amore. E' un messaggio talmente semplice nella sua genuinità che, talvolta, non ne comprendiamo pienamente la potenza ma Nino, con la sua opera d'arte che ha deciso di consegnare alla comunità, ci ricorda che il sapersi donare agli altri è anch'esso una forma d'amore, che la solidarietà tra le persone è un'atto d'amore cosi' come lo è la riconoscenza e che si può diventare padri all'infinito, così come lui stesso ci ha dimostrato sapendo trasformare un legno grezzo e informe in una magnifica opera d'arte di cui tutti potremo godere e attraverso cui avremo occasioni di riflettere sul vero senso della vita.
Con queste brevi parole consegniamo, allora, un forte abbraccio virtuale a Nino, alla sua famiglia e ai suoi collaboratori e con esso un sincero ringraziamento per il significativo gesto di cui si è reso protagonista.
Conosci gli Operatori e il Progetto del GMT˜Halaesa-Nebrodi.
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Halaesa Nebrodi 03/10/2024
Gente di Halaesa-Nebrodi: Francesco Saverio Modica
un Francesco Saverio Modica, Francesco per tutti, è un giovane archeologo mistrettese ed è figlio di Vincenzo, già maratoneta pluripremiato di rilievo internazionale.
Francesco, però, la sua personale maratona ha scelto di correrla tra uno scavo archeologico e l'altro, ad un ritmo tutto speciale che si alterna tra la frenesia nel portare alla luce un rinvenimento di eccezionale importanza e la meticolosa lentezza propria del delicato lavoro che ha scelto di svolgere.
Incontro Francesco in uno dei momenti più emozionanti della sua breve ma già intensa esperienza di archeologo, ritrovandoci a Tusa, nel sito di Halaesa arconidea, in uno dei pochi momenti di pausa dello scavo che Francesco ha seguito con particolare passione, ancora elettrizzato per un'eccezionale scoperta di cui parleremo più avanti.
Francesco, in questi ultimi mesi è stato davvero difficile riuscire a parlarti con tranquillità: il lavoro di archeologo ti impegna molto e mi piacerebbe conoscere meglio perché hai scelto questa professione e i risultati che, fin qui, hai ottenuto.
La mia passione per l'archeologia parte da molto lontano, quando avevo quattro anni visitai questo luogo con mia mamma e da allora non lo dimenticai più. Gli anni liceali vissuti a Mistretta hanno ulteriormente alimentato questa mia passione infatti, dopo gli studi, molti dei miei pomeriggi li passavo visitando le campagne che circondavano l'abitato ricco di antichi sentieri che conducevano a luoghi speciali. Spesso mi imbattevo in cocci, strutture affioranti, chiese dirute e ciò non faceva altro che alimentare la mia fantasia che, piano piano è diventata passione e voglia di approfondire. Ho conseguito la laurea magistrale in Archeologia tre anni fa e adesso sto completando il dottorato di ricerca presso l'Università di Palermo. Nel mio percorso universitario ho continuato ad esplorare il territorio, stavolta siciliano, individuando terreni e aree che, potenzialmente avrebbero potuto ospitare dei siti archeologici. La mia tesi magistrale, che riprende un lavoro di circa ventanni fa del professore Burgio, mi ha consentito di aggiornare la mappatura delle aree di interesse archeologico nel territorio della valle dell'Aleso che da 155 sono passate a 245.
Non è un caso se ci stiamo ritrovando ad Halaesa arconidea, sito archeologico poco lontano dalla tua Mistretta. Questo per te è un luogo speciale e vorrei sapere cosa ti lega a questo territorio: sei in evidente controtendenza rispetto ai tantissimi tuoi coetanei che lasciano la Sicilia per lavorare altrove.
Fortunatamente il mio lavoro mi consente di vivere nel mio territorio e Halaesa la frequento oramai da dieci anni. Pensa che io abito a 500 metri in linea d'aria da qui, dunque il mio legame con questo luogo è davvero profondo e speciale. Sono consapevole, vivendo il territorio, delle bellezze che esso custodisce ma anche delle difficoltà e delle contraddizioni che manifesta, ma trovo "naturale" vivere e restare qui, amo profondamente questi luoghi perchè li vivo tutti i giorni, in tutte le loro sfaccettature. Qui realizzo il sogno della mia adoloscenza: scavare ad Halaesa e restituire la verità storica a questo sito molto importante.
Parliamo di Halaesa: nel 403 a.C. Arconide di Hèrbita fonda un insediamento che diventerà poi la città di Halaesa arconidea. Chi era Arconide e quali sono le motivazioni storiche che lo hanno spinto a lasciare Hèrbita e trasferirsi, con la sua gente, in questo lontano lembo di Sicilia?
Non sappiamo molto degli Arconidi: molto probabilmente il fondatore di Halaesa è Arconide II, nipote di Arconide I, che trasferisce un nutrito gruppo di siculi da Hèrbita alla costa settentrionale dell'isola. Dopo la guerra del Peloponneso, con la sconfitta di Atene e la vittoria di Siracusa alleata di Sparta, la Sicilia vive un momento di grande confusione: Cartagine approfitta del conflitto attaccando le coste meridionali da Agrigento a Camarina, Himera viene distrutta e quindi moltissimi sfollati sono costretti a spostarsi altrove alla ricerca di aree più tranquille dove insediarsi.
Hèrbita, collocata presumibilmente nei monti tra Nicosia e Gangi, accoglie un numero altissimo di civili fuggiti dalle città distrutte ma, ben presto, va in sovrappopolamento generando malumore tra gli abitanti e costringendo il suo signore a trasferire parte della popolazione nelle terre a nord della Sicilia. Viene quindi fondata Halaesa che, comunque, nel primo secolo vive un momento non semplice visto che i cartaginesi, nel frattempo, si erano spinti fino alla foce del fiume Pollina.
Halaesa diventa, dunque, un centro molto importante dell'impero romano e ciò è testimoniato dai rinvenimenti fin qui messi alla luce: cosa raccontano i resti dell'antica città?
All'inizio della Prima guerra punica, nel 264 a.C., Halaesa dedise di allearsi con Roma, anzi fu tra le prime a farlo e ciò le consentirà di liberarsi dalla "decima" dei tributi, lasciando quindi in città la quota del grano altrimenti destinata a Roma. Fino al primo secolo dopo Cristo Halaesa vive il suo periodo migliore perchè potrà riversare molto denaro in opere pubbliche quali l'agorà e i templi sacri. Insomma la scelta di allearsi fin da subito con Roma si rivela decisamente vincente.
Arriviamo ai nostri giorni e alla notizia del momento: la quinta campagna di scavi condotta dall'Università di Palermo ha fatto emergere, tra le altre cose, un'area termale di eccezionale importanza che rafforza ancora più l'idea che Halaesa arconidea, tutto sommato, è ancora da scoprire.
Stimiamo che la superfice complessiva della città si estenda su 15 ettari e mezzo ma l'area demaniale è inferiore quindi andrebbero espropriati ulteriori terreni. Bisogna anche dire che quasi tutti i siti archeologici hanno fatto affiorare solo una parte delle antiche città e per Halaesa è lo stesso, per fare emergere tutto il sito ci vorrebbero decenni di incessanti scavi. Riguardo la recente scoperta, che si aggiunge a quelle precedenti riguardanti l'agorà, il santuario e il teatro, sapevamo dell'esistenza di un impianto termale ma non potevamo certo immaginare di fare emergere un'opera cosi estesa e importante. Ancora c'è tanto da scavare ma, certamente, ci stiamo trovando di fronte ad un edificio termale tra i più grandi della Sicilia.
Francesco, domanda finale di rito: per quanto tempo la forza attrattiva della tua terra riuscirà a trattenerti nel nostro territorio?
Penso per sempre: io non me ne voglio andare.
Halaesa Nebrodi 24/09/2024
Gente di Halaesa-Nebrodi: Salvatore Cangelosi
Ho avuto l'opportunità di conoscere Salvatore Cangelosi attraverso l'amicizia comune con Deborah Quadrio, già insegnante di sostegno, volontaria in diverse associazioni del settore, nonchè ricercatrice indipendente di tecnologie interiori per il benessere psicofisico. Nel definire i dettagli della partecipazione di Salvatore all'incontro tra GMT™ ed operatori del territorio, programmato insieme ad Andrea Succi per il 21 settembre a Castel di Lucio, alla prima osservazione fattami da Deborah circa l'abbattimento delle barriere architettoniche nei locali che ci avrebbero accolto, ho percepito, come un pugno allo stomaco, che nell'approccio al mondo della disabilità nulla può essere dato per scontato, a partire dalla presenza o meno dello scivolo, indispensabile per rendere accessibile il luogo ad una persona con esigenze speciali. Nel caso specifico il Municipio di Castel di Lucio era provvisto dello scivolo pertanto Salvatore ha raggiunto l'aula consiliare in tutta sicurezza e non si è evidenziato alcun problema. Ma non è sempre così.
Parto da questa semplice osservazione-che per me è stata una prima lezione- per significare l'importanza che va data a chi la disabilità, temporanea o permanente che sia, la vive quotidianamente in una dimensione tale che ogni attimo della propria giornata va programmata e gestita secondo modalità e parametri che la maggior parte di noi normodotati sconosce o disconosce.
I dati ISTAT riguardanti l'anno 2022 ci restituiscono un quadro di cui è utile avere conoscenza: su una popolazione complessiva di 59.065.000 abitanti le persone con disabilità gravi ammontavano a 2.921.000 unità (4,9%) mentre quelli con disabilità non gravi ammontavano a 9.766.000 unità (16,5%). Va detto che questi dati comprendevano anche i soggetti portatori di disabilià per motivi di età ma è ragionevole pensare che almeno il 15% della popolazione italiana ha esigenze di accessibilità, mentre i turisti con disabilità si stima siano circa un miliardo nel mondo e circa 10 milioni in Italia.
(fonte https://projectforall.net/turismo-accessibile-e-inclusivo-cose-e-cosa-fare/- https://saravitali.com/turismo-accessibile-e-inclusivo-turismo-per-tutti/).
Stimolato dagli interventi di Salvatore nel corso dell'incontro di Castel di Lucio abbiamo deciso di affrontare, con lui e attraverso di lui, un argomento che sta molto a cuore al GMT™ Halaesa-Nebrodi nel progetto di proporre il territorio come destinazione turistica: il delicato tema del turismo accessibile e inclusivo.
Salvatore, parlaci di te e della tua storia: il tuo impegno nella sensibilizzazione verso la tematica dell'accesibilità parte da molto lontano.
E' proprio così: la mia è una malattia neuro-degenerativa, SMA acronimo di Atrofia muscolare spinale, che si è manifestata fin dalla nascita limitandomi progressivamente nella mia quotidianità e nei miei rapporti con l'esterno. All'età di diciottanni ho perso anche la motilità delle mani, fatto che ha reso ulteriormente invalidante la mia condizione. Tuttavia ho sempre cercato di trasformare la mia malattia in una missione rivolta alla sensibilizzazione riguardo il complesso mondo della disabilità: in una parola non mi sono mai arreso. Per questo motivo ho speso tante energie nell'associazionismo- attualmente sono molto attivo nell''Associazione di Promozione sociale NEHEMIA (qui uno degli ultimi eventi organizzati) il cui Presidente è Fabrizio Gandellini, sono socio di Famiglie SMA e ho anche vissuto delle esperienze politiche essendomi candidato, senza successo, alle elezioni amministrative del comune di Pollina dove io vivo, inoltre per due anni sono stato coordinatore provinciale di un partito di maggioranza.
Fin da ragazzo, in ambito scolastico, mi sono battuto, supportato dai miei genitori e amici, per l'abbattimento delle barriere architettoniche della scuola che frequentavo e adesso posso dire, con soddisfazione, che abbiamo ottenuto un buon risultato di cui possono usufruire tutte le persone che, come me, hanno difficoltà di tipo motorio. Ma la prima barriera che ho cercato di abbattere è stata quella mentale dei normodotati che, purtroppo, guardavano me ed il mio mondo con sufficienza e quasi con distacco, sottovalutando la mia condizione e non rispettando il mio diritto all'istruzione, alla socializzazione, alla cultura per cui la mia azione di sensibilizzazione si è sempre rivolta tanto alle istituzioni quanto ai privati.
La Costituzione italiana, attraverso gli artt. 2 e 3, sancisce il valore e la dignità della persona quali principi guida del legislatore e che ogni individuo deve avere eguali possibilità di partecipazione alla vita sociale, politica ed economica del Paese. Quanto, alla luce della tua esperienza diretta o indiretta, ritieni di essere tutelato dallo Stato? Quale incidenza hanno, nella vita di tutti i giorni, parole chiave quali "inclusione", "integrazione" e "inserimento"?
Lo Stato e, in generale, le Istituzioni hanno fatto tanto ma devono fare ancora molto di più, è una questione di approccio mentale: la disabilità non deve essere interpretata come un peso per lo Stato ma, piuttosto, come una ricchezza. Lo Stato deve essere accanto al disabile non solamente con atti legislativi ma soprattutto con fatti concreti: ha il dovere di rispettare la dignità di tutti i cittadini, nel rispetto delle diversità, solo allora lo Stato assolve pienamente alla propria funzione. Necessitano interventi, non solamente economici, volti ad alleggerire l'enorme peso che grava sulle famiglie, integrando questo sforzo con quello assistenziale dove ancora oggi ci sono troppe lacune.
La propria famiglia, come hai appena sottolineato, rappresenta il luogo principale dove si snoda la vita quotidiana della persona che manifesta esigenze speciali. Ti andrebbe di raccontarci come si svolge una tua giornata tipo?
Premetto che, grazie al supporto incessante della mia famiglia e dei tanti amici che ho, sono profondamente innamorato della vita. Ma non tutti, purtroppo, si trovano nella mia condizione. Vivo ogni giornata al massimo delle mie possibilità grazie agli amici, all'impegno sociale, al lavoro. Ogni giorno mi alzo dal letto grazie ai miei familiari che mi trasmettono forza e sicurezza e la mattina la dedico soprattutto alla politica e alla mia associazione, il pomeriggio incontro gli amici e e sto spesso con i miei nipotini. La mia vita, dunque, si svolge in maniera serena e ricca di esperienze ma purtroppo la difficoltà è sempre dietro l'angolo: dal marciapede senza scivolo alla pizzeria che non ha un bagno adeguato alle mie condizioni. Io soffro di una grave limitazione motoria ma la disabilità puo essere anche visiva, uditiva, mentale e legata all'età: tutti dovremmo fare qualcosa in più per abbattere barriere e distanze.
E' evidente che i gradi e le tipologie di disabilità sono così numerosi e variegati che sarebbe impossibile racchiuderli e analizzarli in una semplice intervista, allora ipotizziamo che tu volessi trascorrere una vacanza in Halaesa-Nebrodi: cosa ti aspetteresti di trovare in termini di accoglienza inclusiva e accesso ai servizi?
Il turismo accessibile è una grande risorsa economica e rappresenta anche la misura di quanto la società è sensibile alle nostre problematiche. Bisogna lavorare sulle mentalità e sulla quotidianità: troppo spesso mi sono trovato nella condizione di rinunciare o di modificare una vacanza perche la struttura, il ristorante o la spiaggia non erano adeguati ai miei bisogni. Non è giusto! Le limitazioni non dovrebbero esistere o, perlomeno, andrebbero ampliati gli sforzi per accogliere tutti, anche i disabili. Il privato, per esempio, non dovrebbe sentirsi obbligato da una legge piuttosto che un'altra per adeguare la sua struttura con bagni a norma, ma dovrebbe sentire il dovere di agire in autonomia, per senso civico e per restituire un servizio alla collettività. In quest'ottica voglio anche sottolineare l'importanza che ciascun individuo ha nella società, in particolar modo quando si condividono insieme progetti, visioni e operatività facendo rete: bisogna partire dalla volontà di accettare "l'altro" senza pregiudizi o diffidenze di sorta, bisogna sapere ascoltare per abbattere tutte le barriere, fisiche e mentali e, in questo senso, l'essere parte di una comunità che opera in maniera condivisa apporta un grande valore aggiunto all'iniziativa di ciascuno di noi. Ritrovo, con piacere, questo principio nel concetto di Comunità ospitale che ispira il lavoro e la missione del GMT™ Halaesa-Nebrodi.
Il progetto Halaesa-Nebrodi ruota attorno al concetto di Comunità ospitante, dunque le persone ne rappresentano l'elemento fondante in quanto chiamate all'accoglienza, alla partecipazione e alla condivisione. Quale ruolo immagineresti di svolgere come parte attiva del progetto stesso?
Sarei ben felice di essere parte attiva del progetto di Halaesa-Nebrodi perchè potrei indirizzare, con la mia esperienza diretta, determinate scelte e interventi specifici, non perchè abbia doti intellettive speciali ma semplicemente perche, toccando con mano le necessità delle persone con difficoltà, potrei essere un valido supporto per rendere i nostri luoghi più accessibili e inclusivi. Per esempio, la viabilità su rotaie andrebbe decisamente migliorata. Ho constatato di persona che in un treno per Cefalù il posto per i disabili era stato ottenuto semplicemente e frettolosanente togliendo alcuni sedili normali lasciando un'area libera dove posizionare la carrozzina, senza alcun sistema di aggancio e sicurezza. Ovviamente ho denunciato l'accaduto e, al netto delle scuse di circostanza, dopo tre anni dai fatti non è cambiato nulla.
Ma non voglio chiudere questa intervista con una nota negativa anzi voglio cogliere l'occasione per dire che il cambiamento è possibile a patto che ognuno di noi prenda piena coscienza del problema e lo affronti con consapevolezza e decisione. Io ci sono.
Anche noi Salvatore, grazie.
Riccardo Zingone 12/02/2025
Gente di Halaesa-Nebrodi-Alessio Ribaudo
Talvolta si può essere Gente di Halaesa-Nebrodi pur vivendo a oltre 1300 km di distanza. E' ciò che accade a tanti siciliani che, per svariati motivi, vivono fuori dal luogo di origine ed è esattamente ciò che avviene anche con Alessio Ribaudo, stefanese di nascita ma milanese di adozione, giornalista del Corriere della Sera.
Nonostante Alessio viva e lavori a Milano da svariato tempo, in realtà quel sottile filo rosso che lo collega alla sua Santo Stefano di Camastra (ma non solo, come vedremo più avanti) non si è mai spezzato anzi, nel corso degli anni, si è addirittura irrobustito, mantenedo così vivi i legami familiari, affettivi e di appartenenza, fatto-quest'ultimo- che si traduce anche nel non avere "assorbito" più di tanto la cadenza meneghina, condizione che, personalmente, apprezzo molto.
Alessio, il tuo biglietto Santo Stefano-Milano non è mai stato di sola andata. Quanto è forte il legame con la Sicilia?
Senza radici, gli alberi non crescono. Sono nato a Santo Stefano di Camastra. Qui sono nati mia madre, Angela Ciofalo, i miei nonni, i bisnonni e i miei avi fino ai quadrisavoli. Mio padre è di Mistretta, una terra che, almeno dal 1448, è stata patria dei Ribaldo — poi Ribbaudo e infine Ribaudo. Un cognome non è mai solo un cognome: è una storia, una traccia, un testimone passato di generazione in generazione.
A Mistretta, ogni sabato da bambino, la domanda rituale era sempre la stessa: “Ma tu a cu apperteni?”. Non era solo una curiosità; era il passaggio obbligato per essere riconosciuti, compresi. La risposta non era mai banale, non bastava dire il nome del padre. Solo quando dicevo: “U niputi ri ron Luciu ri S’Addiu”, il cerchio si chiudeva, l’identità trovava la sua chiave. A Milano, dove vivo da trent’anni, accade qualcosa di simile. Anche qui, in certi ambienti, si distingue tra i “Milanés de la lengua de Milan” e tutti gli altri.
Anche qui il cognome e il dialetto sono sigilli. Ma la verità è che il legame con la propria terra non si misura in chilometri, si misura in battiti.
I Nebrodi mi hanno visto crescere. Ho amato, riso, sognato in queste terre. Da qui sono partito, qui resta la mia anima. Qui c’è la terra che ha esaltato l’entusiasmo della mia giovinezza. Qui ho imparato a stare con i piedi piantati a terra e lo sguardo rivolto al mare, verso l’infinito che neanche la corona delle Eolie sbarra. Fra i miei 1.611 avi, ricostruiti documentalmente, non ci sono stati solo stefanesi e mistrettesi, ma anche militellesi (Faraci) e sanfratellani (Calderone e Tomasello). C’erano cristiani (Armao, Cannata, Smriglio, Scaduto) ed ebrei (Bartolotta, Giaconia, Giordano, Ortoleva).
Nobili e socialisti, appaltatori e artigiani, armatori e allevatori, imprenditori e agrimensori reali, anticlericali incalliti e alti prelati, sindaci e anarchici. Grandi ricchezze e grandi rovesci.
Insomma, c’era tutta la contraddizione dei Nebrodi. Le porto dentro: nel modo in cui guardo il mare, nei silenzi delle montagne, nella tenacia che mi accompagna ogni giorno.
La scrittura, oltre ad essere il tuo lavoro, è una passione profonda. Da dove nasce?
C’è un momento, nella vita di ciascuno, in cui la passione prende forma. Per me accadde in prima media, quando il mio mitico professore di italiano, Gaetano Gerbino, ci assegnò un compito in classe: scrivere un articolo immaginario. Il suo giudizio fu chiaro: “Si prevede un futuro al Corriere della Sera”. Era il 1986. Quell’estate segnò la mia vita.
Avevo appena compiuto dieci anni quando, per la prima volta, mi misero davanti a un mixer e a un microfono. L’editore, Beniamino Priolisi, mi spiegò con calma: “Con questo cursore abbassi la musica, con questo alzi la voce. Vai.” Dopo alcune prove, pronunciò una frase che non ho mai dimenticato: “Da oggi condurrai il tg dei ragazzi”. Era Radio Incontro.
E in quel momento non pensavo più al caldo infernale di quel locale angusto. Pensavo solo alle parole, a quel brivido di raccontare. Poco dopo passai anche al giornalismo televisivo e alla carta stampata: dal Giornale di Sicilia a Centonove, da Onda Tv ad Antenna del Mediterraneo, passando per Radio Stefanese e Tgs.
Avevo appena quindici anni quando seguii il mio primo duplice omicidio. Conoscevo bene le vittime: un compaesano che correva nei rally e il suo navigatore-meccanico. Non potevo girarmi dall’altra parte, non potevo tacere. Quello è stato l’inizio. Poi Mediaset on Line, Italpress, Il Giornale e infine il grande salto: il Corriere della Sera. Da vent’anni racconto il mondo con la consapevolezza che le parole hanno un peso. Le ho usate per raccontare di mafia, legalità, dissesto idrogeologico. La mia scrittura non è mai stata solo un mestiere. È sempre stata, prima di tutto, una forma di resistenza.
Hai scoperto storie dimenticate. Me ne racconti alcune?
Ci sono nomi che la storia perde. Liborio Ribaudo è uno di questi. Nato a Mistretta nel 1897, credeva in valori oggi rari: onore, dovere, patria.
A vent’anni comandava un plotone durante la Grande Guerra. L’Esercito gli conferì la Medaglia d’Argento al Valor Militare. Dopo la guerra, la vita lo portò in Libia. Era il 1923: la guerra coloniale, il sogno espansionista fascista. Liborio era un ufficiale del Secondo Battaglione Eritreo, sotto il comando di Graziani. Poi arrivò il 27 dicembre. Beni Ulid. Trecento italiani contro tremila ribelli. Liborio, alla testa dei suoi uomini, respinse l’assalto. Fu ferito gravemente. I suoi commilitoni si misero sugli attenti mentre lo riportavano indietro.
Con l’ultimo fiato, si alzò dalla barella e gridò: “Viva sempre l’Italia.” Un’altra Medaglia d’Argento al Valor Militare, ma il suo nome si è sbiadito nei vicoli di Mistretta. Un errore burocratico lo ha collocato a Gela. Ma lui era di Mistretta, e io sogno e ribadisco che il suo nome vada iscritto nel bel Monumento ai Caduti che mio nonno Lucio, con la sua arte, contribuì a erigere.
E poi c’è Maria Ciofalo, giovane partigiana e agente segreta britannica, una figura quasi dimenticata. Operava per lo Special Operations Executive. Una donna coraggiosa, che agiva dietro le linee nemiche, sabotava, spiava. Il mio lavoro è riportare alla luce queste vite e restituire loro il posto che meritano nella memoria collettiva.
Hai ricevuto premi importanti. Il Premio Pio La Torre e il titolo di Siciliano Lombardo dell’Anno 2023. Cosa significano per te?
Significano orgoglio, ma anche una vertigine. Vedere il mio nome accostato all’opera di santi civili come Pio La Torre e Salvatore Carnevale o a grandi magistrati come Antonino Caponnetto è un onore enorme. Questi riconoscimenti non sono solo premi; sono energia pura per continuare un lavoro che è fatica, che richiede dedizione costante. Non si scrive di mafia e legalità per diventare famosi, ma per dare voce a chi non ne ha. Questi premi mi ricordano che il giornalismo non è solo mestiere: è missione, è impegno civile, è responsabilità.
Il GMT™ Halaesa-Nebrodi. Cosa ne pensi?
La memoria di un luogo non sta solo nelle sue pietre o nei suoi documenti, ma in ciò che quelle pietre e quei documenti raccontano, e nel modo in cui noi scegliamo di ascoltarli. Halaesa-Nebrodi è un progetto ambizioso che parte dal presupposto che il passato non debba essere un’ancora che ci trattiene, ma un trampolino che ci proietta in avanti.
Questo significa riconoscere la storia, ma anche darle nuova vita, affinché continui a dialogare con il presente e con il futuro. Bisogna saper ascoltare questo territorio senza imporre, senza forzare.
Lasciare che le pietre, i sentieri, le montagne e il mare raccontino la loro storia. È in quel racconto che si trova il valore unico dei Nebrodi.
Questo progetto ha un potenziale straordinario, perché vuole mettere in luce non solo le bellezze naturali, ma anche la ricchezza enogastronomica, culturale e umana di questa terra.
Per farlo, però, serve qualcosa di più di una buona idea. Serve una sinergia vera tra istituzioni, realtà locali, giovani imprenditori e comunità, affinché il progetto lasci un segno duraturo.
Realtà locali, istituzioni, giovani imprenditori devono collaborare per dare continuità e sostenibilità a un progetto innovativo, ma anche rispettoso delle radici. E poi serve una narrazione potente. Spesso si ricordano i miei articoli sulle mafie, che opprimono e soffocano chi, con il sudore della fronte, porta avanti la propria azienda: gli onesti in Sicilia sono la stragrande maggioranza. Ma ce ne sono tanti altri che mi rendono orgoglioso perché hanno messo in risalto la bellezza dei Nebrodi e hanno convinto imprenditori del settore turistico a inserire quest’area nei loro percorsi.
I media devono essere parte di questo processo, perché far conoscere il valore di un luogo significa anche proteggerlo e preservarlo. Chi mette la testa sotto la sabbia, come uno struzzo, non fa il bene di questi scrigni. Il “niente vidi, niente sacciu” ha già causato danni incalcolabili per generazioni. È il peggior stereotipo e il boomerang mediatico più devastante che possa esistere. I negazionisti che si agitano, additano e sbraitano, con il marranzano in sottofondo, provocano nei turisti solo repulsione per la loro chiusura mentale verso la verità e il loro atteggiamento retrogrado.
Il ruolo dei media è essenziale: raccontare le storie di chi lavora, vive e ama questi luoghi. Perché far conoscere il valore di un territorio non significa solo promuoverlo: significa anche proteggerlo, custodirlo e consegnarlo intatto alle generazioni future. Raccontare un territorio significa raccontare la realtà, senza menzogne. Significa custodirlo. Significa proteggerlo. Solo così si potrà consegnarlo al futuro. Insieme: perché da soli si va veloci, ma tutti per uno si va lontano.
Raccontare un territorio, in fondo, è un atto di responsabilità e di amore. Non è solo una questione di marketing o turismo: è una questione di identità, di appartenenza, di rispetto per ciò che siamo stati e per ciò che possiamo diventare.
È questa, credo, la sfida più grande: trovare il modo di far convivere passato e futuro, tradizione e innovazione, in un equilibrio che non sacrifichi nulla, ma che valorizzi tutto.
Come un novello Ulisse, sogno che un giorno, quando chiuderò la mia stilografica, tornerò nella mia Itaca e la ritroverò non solo intatta, ma anche fiorita, rinnovata, arricchita da tutto ciò che avremo costruito.
Non una nostalgia di ciò che era, ma un’aspirazione a ciò che può diventare. Una casa non come l’ho lasciata, ma come ho sempre sperato che fosse.