Nino Mallaci, il Progetto Capramal ed il suo salame di capra messinese

Un sogno che diventa realtà e un valore aggiunto per il territorio nel racconto del protagonista

Antonino Mallaci Bocchio con il suo gregge di Capre messinesi

Riccardo Zingone 20/09/2025 0

La storia del salame di capra di Nino

Per raccontare il salame di capra prodotto da Antonino Mallaci Bocchio — per tutti Nino — è necessario fare un lungo passo indietro e ascoltare la sua storia, che affonda le radici in un'antica azienda di famiglia dedita all'agricoltura e alla zootecnia.

"Vengo da una famiglia di agricoltori e allevatori", racconta Nino. "Sono sempre stato affascinato da questo mondo ricco di valori e sentimenti, ma anche di enormi sacrifici".

Da ragazzo, Nino divideva il suo tempo tra la scuola e l'azienda di famiglia. Una volta ottenuto il diploma di geometra, decise di abbandonare gli studi per dedicarsi completamente all'attività, che all'epoca era principalmente l'allevamento di vacche. "I nostri terreni per il pascolo si trovavano tra Mistretta, Cerami e Agira, il che comportava un notevole dispendio di energie organizzative ed economiche", spiega. Alla fine degli anni Novanta, ventenne, decise con il padre di costruire un capannone nel terreno di contrada Calogno, a Cerami, ma adiacente a Mistretta. Da allora, tutta la sua attività si è concentrata lì.

Come in molte aziende zootecniche, anche in quella di Nino c'erano capre e maiali. "Ricordo che da bambino", prosegue Nino con emozione, "assistevo spesso alla preparazione di vari salumi, tra cui quello di capra, che si otteneva miscelando la carne di capra, magra per natura, con i resti della lavorazione delle carni di maiale. Non ho mai dimenticato quei sapori, quegli odori e quelle sane tradizioni. Da tempo mi sono prefissato l'obiettivo di mantenerle vive attraverso la mia azienda e la mia attività commerciale".


La Dispensa del Massaro e un sogno ritrovato

Arrivando ai giorni nostri, Nino ha aperto un punto vendita a Santo Stefano di Camastra, dove ha avviato La dispensa del Massaro. L'intento era promuovere e vendere la norcineria del Suino Nero dei Nebrodi, un prodotto d'eccellenza del territorio, insieme a carne bovina selezionata. Tuttavia, il pensiero delle capre continuava a "pascolare" nella sua mente, insieme al progetto di portare le tradizioni culinarie a loro legate sulle tavole di tutti.

A un certo punto, si presentò a Nino la possibilità di acquistare un certo numero di Capre Messinesi certificate, una razza autoctona con radici tra i Nebrodi e i Peloritani, apprezzata per la qualità del latte e la bontà delle sue carni.

"Con l'acquisto di questo gregge", racconta Nino, "sentivo di essere vicino alla realizzazione del mio sogno, ma ero anche consapevole di dover acquisire ulteriori conoscenze per riuscire a produrre un salume di qualità, rispettoso della tradizione e dei canoni moderni".

Decise quindi di frequentare un corso specifico ad Alba, in Piemonte, una zona con una lunga e consolidata tradizione nell'allevamento di capre e nella produzione di salumi. Dopo varie sperimentazioni, è riuscito a produrre il suo salame di capra, trovando il giusto equilibrio tra compattezza, resistenza al taglio, conservazione, sapore e profumo.


Un prodotto che è sintesi di tradizione e innovazione

Il lungo e complesso percorso di Nino, supportato dalla sua famiglia, ha trovato un epilogo il 18 settembre, in occasione della presentazione ufficiale del progetto Capramal a Santo Stefano di Camastra. L'evento ha visto la partecipazione di amministratori, tecnici, amici e curiosi, tutti attratti da questa gustosa novità.

L'esperienza gastronomica di degustazione del salame di capra è stata arricchita dalle specialità prodotte da altre aziende locali: l'azienda Spina Santa di Nicosia, specializzata nella produzione di formaggio caprino, e l'azienda Casaleni, che da tempo propone un'offerta gastronomica d'eccellenza. Grazie a queste sinergie, si è scoperto come il salame di capra messinese trovi una particolare esaltazione in abbinamento, ad esempio, alla provola dolce e alla marmellata di fichi.

Una perfetta sintesi dei valori espressi dal salame di capra messinese è racchiusa nelle parole della dottoressa Serena Nigrelli, l'agronoma che ha seguito Nino durante l'iter burocratico: "Quello di Nino è un salame che va assaporato a occhi chiusi, perché così possiamo cogliere sensazioni uniche che ci riportano indietro nel tempo".

Non resta che augurare un sincero in bocca al lupo a Nino e al suo sogno diventato realtà. Il territorio ha bisogno di queste energie, visioni ed entusiasmo affinché le nostre belle tradizioni si trasformino da memorie in fatti concreti.

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Riccardo Zingone 12/02/2025

Gente di Halaesa-Nebrodi-Alessio Ribaudo

Talvolta si può essere Gente di Halaesa-Nebrodi pur vivendo a oltre 1300 km di distanza. E' ciò che accade a tanti siciliani che, per svariati motivi, vivono fuori dal luogo di origine ed è esattamente ciò che avviene anche con Alessio Ribaudo, stefanese di nascita ma milanese di adozione, giornalista del Corriere della Sera.
Nonostante Alessio viva e lavori a Milano da svariato tempo, in realtà quel sottile filo rosso che lo collega alla sua Santo Stefano di Camastra (ma non solo, come vedremo più avanti) non si è mai spezzato anzi, nel corso degli anni, si è addirittura irrobustito, mantenedo così vivi i legami familiari, affettivi e di appartenenza, fatto-quest'ultimo- che si traduce anche nel non avere "assorbito" più di tanto la cadenza meneghina, condizione che, personalmente, apprezzo molto.

Alessio, il tuo biglietto Santo Stefano-Milano non è mai stato di sola andata. Quanto è forte il legame con la Sicilia?

Senza radici, gli alberi non crescono. Sono nato a Santo Stefano di Camastra. Qui sono nati mia madre, Angela Ciofalo, i miei nonni, i bisnonni e i miei avi fino ai quadrisavoli. Mio padre è di Mistretta, una terra che, almeno dal 1448, è stata patria dei Ribaldo — poi Ribbaudo e infine Ribaudo. Un cognome non è mai solo un cognome: è una storia, una traccia, un testimone passato di generazione in generazione.
A Mistretta, ogni sabato da bambino, la domanda rituale era sempre la stessa: “Ma tu a cu apperteni?”. Non era solo una curiosità; era il passaggio obbligato per essere riconosciuti, compresi. La risposta non era mai banale, non bastava dire il nome del padre. Solo quando dicevo: “U niputi ri ron Luciu ri S’Addiu”, il cerchio si chiudeva, l’identità trovava la sua chiave. A Milano, dove vivo da trent’anni, accade qualcosa di simile. Anche qui, in certi ambienti, si distingue tra i “Milanés de la lengua de Milan” e tutti gli altri.
Anche qui il cognome e il dialetto sono sigilli. Ma la verità è che il legame con la propria terra non si misura in chilometri, si misura in battiti.
I Nebrodi mi hanno visto crescere. Ho amato, riso, sognato in queste terre. Da qui sono partito, qui resta la mia anima. Qui c’è la terra che ha esaltato l’entusiasmo della mia giovinezza. Qui ho imparato a stare con i piedi piantati a terra e lo sguardo rivolto al mare, verso l’infinito che neanche la corona delle Eolie sbarra. Fra i miei 1.611 avi, ricostruiti documentalmente, non ci sono stati solo stefanesi e mistrettesi, ma anche militellesi (Faraci) e sanfratellani (Calderone e Tomasello). C’erano cristiani (Armao, Cannata, Smriglio, Scaduto) ed ebrei (Bartolotta, Giaconia, Giordano, Ortoleva).
Nobili e socialisti, appaltatori e artigiani, armatori e allevatori, imprenditori e agrimensori reali, anticlericali incalliti e alti prelati, sindaci e anarchici. Grandi ricchezze e grandi rovesci.
Insomma, c’era tutta la contraddizione dei Nebrodi. Le porto dentro: nel modo in cui guardo il mare, nei silenzi delle montagne, nella tenacia che mi accompagna ogni giorno.


La scrittura, oltre ad essere il tuo lavoro, è una passione profonda. Da dove nasce?

C’è un momento, nella vita di ciascuno, in cui la passione prende forma. Per me accadde in prima media, quando il mio mitico professore di italiano, Gaetano Gerbino, ci assegnò un compito in classe: scrivere un articolo immaginario. Il suo giudizio fu chiaro: “Si prevede un futuro al Corriere della Sera”. Era il 1986. Quell’estate segnò la mia vita.
Avevo appena compiuto dieci anni quando, per la prima volta, mi misero davanti a un mixer e a un microfono. L’editore, Beniamino Priolisi, mi spiegò con calma: “Con questo cursore abbassi la musica, con questo alzi la voce. Vai.” Dopo alcune prove, pronunciò una frase che non ho mai dimenticato: “Da oggi condurrai il tg dei ragazzi”. Era Radio Incontro.
E in quel momento non pensavo più al caldo infernale di quel locale angusto. Pensavo solo alle parole, a quel brivido di raccontare. Poco dopo passai anche al giornalismo televisivo e alla carta stampata: dal Giornale di Sicilia a Centonove, da Onda Tv ad Antenna del Mediterraneo, passando per Radio Stefanese e Tgs.
Avevo appena quindici anni quando seguii il mio primo duplice omicidio. Conoscevo bene le vittime: un compaesano che correva nei rally e il suo navigatore-meccanico. Non potevo girarmi dall’altra parte, non potevo tacere. Quello è stato l’inizio. Poi Mediaset on Line, Italpress, Il Giornale e infine il grande salto: il Corriere della Sera. Da vent’anni racconto il mondo con la consapevolezza che le parole hanno un peso. Le ho usate per raccontare di mafia, legalità, dissesto idrogeologico. La mia scrittura non è mai stata solo un mestiere. È sempre stata, prima di tutto, una forma di resistenza.



Hai scoperto storie dimenticate. Me ne racconti alcune?

Ci sono nomi che la storia perde. Liborio Ribaudo è uno di questi. Nato a Mistretta nel 1897, credeva in valori oggi rari: onore, dovere, patria.
A vent’anni comandava un plotone durante la Grande Guerra. L’Esercito gli conferì la Medaglia d’Argento al Valor Militare. Dopo la guerra, la vita lo portò in Libia. Era il 1923: la guerra coloniale, il sogno espansionista fascista. Liborio era un ufficiale del Secondo Battaglione Eritreo, sotto il comando di Graziani. Poi arrivò il 27 dicembre. Beni Ulid. Trecento italiani contro tremila ribelli. Liborio, alla testa dei suoi uomini, respinse l’assalto. Fu ferito gravemente. I suoi commilitoni si misero sugli attenti mentre lo riportavano indietro.
Con l’ultimo fiato, si alzò dalla barella e gridò: “Viva sempre l’Italia.” Un’altra Medaglia d’Argento al Valor Militare, ma il suo nome si è sbiadito nei vicoli di Mistretta. Un errore burocratico lo ha collocato a Gela. Ma lui era di Mistretta, e io sogno e ribadisco che il suo nome vada iscritto nel bel Monumento ai Caduti che mio nonno Lucio, con la sua arte, contribuì a erigere.
E poi c’è Maria Ciofalo, giovane partigiana e agente segreta britannica, una figura quasi dimenticata. Operava per lo Special Operations Executive. Una donna coraggiosa, che agiva dietro le linee nemiche, sabotava, spiava. Il mio lavoro è riportare alla luce queste vite e restituire loro il posto che meritano nella memoria collettiva.


Hai ricevuto premi importanti. Il Premio Pio La Torre e il titolo di Siciliano Lombardo dell’Anno 2023. Cosa significano per te?

Significano orgoglio, ma anche una vertigine. Vedere il mio nome accostato all’opera di santi civili come Pio La Torre e Salvatore Carnevale o a grandi magistrati come Antonino Caponnetto è un onore enorme. Questi riconoscimenti non sono solo premi; sono energia pura per continuare un lavoro che è fatica, che richiede dedizione costante. Non si scrive di mafia e legalità per diventare famosi, ma per dare voce a chi non ne ha. Questi premi mi ricordano che il giornalismo non è solo mestiere: è missione, è impegno civile, è responsabilità.



Il GMT™ Halaesa-Nebrodi. Cosa ne pensi?

La memoria di un luogo non sta solo nelle sue pietre o nei suoi documenti, ma in ciò che quelle pietre e quei documenti raccontano, e nel modo in cui noi scegliamo di ascoltarli. Halaesa-Nebrodi è un progetto ambizioso che parte dal presupposto che il passato non debba essere un’ancora che ci trattiene, ma un trampolino che ci proietta in avanti.
Questo significa riconoscere la storia, ma anche darle nuova vita, affinché continui a dialogare con il presente e con il futuro. Bisogna saper ascoltare questo territorio senza imporre, senza forzare.
Lasciare che le pietre, i sentieri, le montagne e il mare raccontino la loro storia. È in quel racconto che si trova il valore unico dei Nebrodi.
Questo progetto ha un potenziale straordinario, perché vuole mettere in luce non solo le bellezze naturali, ma anche la ricchezza enogastronomica, culturale e umana di questa terra.
Per farlo, però, serve qualcosa di più di una buona idea. Serve una sinergia vera tra istituzioni, realtà locali, giovani imprenditori e comunità, affinché il progetto lasci un segno duraturo.
Realtà locali, istituzioni, giovani imprenditori devono collaborare per dare continuità e sostenibilità a un progetto innovativo, ma anche rispettoso delle radici. E poi serve una narrazione potente. Spesso si ricordano i miei articoli sulle mafie, che opprimono e soffocano chi, con il sudore della fronte, porta avanti la propria azienda: gli onesti in Sicilia sono la stragrande maggioranza. Ma ce ne sono tanti altri che mi rendono orgoglioso perché hanno messo in risalto la bellezza dei Nebrodi e hanno convinto imprenditori del settore turistico a inserire quest’area nei loro percorsi.
I media devono essere parte di questo processo, perché far conoscere il valore di un luogo significa anche proteggerlo e preservarlo. Chi mette la testa sotto la sabbia, come uno struzzo, non fa il bene di questi scrigni. Il “niente vidi, niente sacciu” ha già causato danni incalcolabili per generazioni. È il peggior stereotipo e il boomerang mediatico più devastante che possa esistere. I negazionisti che si agitano, additano e sbraitano, con il marranzano in sottofondo, provocano nei turisti solo repulsione per la loro chiusura mentale verso la verità e il loro atteggiamento retrogrado.
Il ruolo dei media è essenziale: raccontare le storie di chi lavora, vive e ama questi luoghi. Perché far conoscere il valore di un territorio non significa solo promuoverlo: significa anche proteggerlo, custodirlo e consegnarlo intatto alle generazioni future. Raccontare un territorio significa raccontare la realtà, senza menzogne. Significa custodirlo. Significa proteggerlo. Solo così si potrà consegnarlo al futuro. Insieme: perché da soli si va veloci, ma tutti per uno si va lontano.
Raccontare un territorio, in fondo, è un atto di responsabilità e di amore. Non è solo una questione di marketing o turismo: è una questione di identità, di appartenenza, di rispetto per ciò che siamo stati e per ciò che possiamo diventare.
È questa, credo, la sfida più grande: trovare il modo di far convivere passato e futuro, tradizione e innovazione, in un equilibrio che non sacrifichi nulla, ma che valorizzi tutto.
Come un novello Ulisse, sogno che un giorno, quando chiuderò la mia stilografica, tornerò nella mia Itaca e la ritroverò non solo intatta, ma anche fiorita, rinnovata, arricchita da tutto ciò che avremo costruito.
Non una nostalgia di ciò che era, ma un’aspirazione a ciò che può diventare. Una casa non come l’ho lasciata, ma come ho sempre sperato che fosse.

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Riccardo Zingone 15/09/2024

Gente di Halaesa-Nebrodi: Domenico Boscia

Ho incontrato il professore Domenico Boscia, ceramista, scultore e artista a tutto tondo, dopo avere parlato di lui quale ideatore del magnifico murales in ceramica La via del mare di Torremuzza, installazione collocata nella frazione marinara del comune di Motta d'Affermo, uno dei sette che fanno parte di Halaesa-Nebrodi.
Con Domenico, recentemente tornato da un'esperienza eccezionale vissuta tra Stati Uniti e Giappone, ho avuto il piacere di assaporare un caffè e intrattenermi in una lunga e piacevole chiaccherata, incrociando spesso i vivaci occhi azzurri che sanno di cielo e mare della sua Sicilia. 

Domenico, raccontaci di cosa ti ha portato così lontano, Los Angeles e Tokyo non sono esattamente dietro l'angolo.

Ritengo che sia il desiderio di tanti artisti girare per il mondo, visitare luoghi particolari, ognuno con la loro storia, cultura e vita sociale. Io sto avendo questa possibilità attraverso il Made in Sicily e il Tour Mondiale 2023-2024 della nave più bella del mondo che è l'Amerigo Vespucci. Siamo stati a Los Angeles, da poco rientrati da Tokyo con prossima tappa a Singapore e poi ancora altri appuntamenti. Ad ogni tappa una straordinaria esperienza artistica con la quale sto portando avanti la presentazione della ceramica artistica siciliana.


Dalla sinergia tra Ministero della difesa, Ministero del turismo e Ministero delle imprese e made in Italy nasce Villaggio Italia, la prima mostra itinerante dell'eccellenze italiane veicolato dal Tour mondiale della Amerigo Vespucci. Quali le tue impressioni? L'Italia piace così tanto all'estero?

Partire e restare oppure partire e ritornare. Questi i dilemmi, potremmo dire storici, che molti immigrati siciliani si sono posti dal momento in cui sono arrivati a destinazione prefissata.
Da una forte intuizione tra i vari ministeri della nostra nazione, in particolare il Ministero della Difesa, il Ministero degli Esteri, il Ministero del Turismo e il Ministero delle Imprese, insieme alla Regione Siciliana – Assessorato alle Attività Produttive, Assessorato Regionale ai Beni Culturali e all'Identità, Assessorato Regionale all'Agricoltura, allo Sviluppo Rurale e alla Pesca Mediterranea, Assessorato alla Famiglia, Politiche Sociali e Lavoro, Parco Archeologico Valle dei Templi, Città di Catania, UNPLI Associazione Nazionale Proloco d’Italia e USEF – prende vita il Villaggio Italia in più porti di diverse nazioni, grazie al Tour Mondiale della Nave Scuola Amerigo Vespucci, riunendo con molta forza e passione tutte le eccellenze italiane e, in particolare, quelle siciliane.

In questo contesto, il Made in Sicily, attraverso un progetto molto ambizioso, il Libro delle Radici, si candida a diventare un simbolo dell’orgoglio siciliano e un punto di riferimento per la cultura e la creatività della Sicilia a sostegno di tutti i siciliani nel mondo. Infine, attraverso un progetto che sto portando avanti con Davide Morici e Giovanni Callea, i due fondatori dell’Associazione Io Compro Siciliano – il Made in Sicily, realizzerò un albero a tutto tondo alto circa quattro metri, tutto in terracotta maiolicata con lastre in pietra lavica, anch'esse maiolicate.

La tua performance con maestro giapponese Nakaijma Hiroyuky è diventata l'icona della tua esperienza nel paese del Sol levante. Davvero il linguaggio dell'arte è universale?

Grazie al grande entusiasmo della Console Generale d’Italia a Los Angeles, Raffaella Valentini, che ha accolto il progetto del Made in Sicily, dopo aver presentato l’Albero delle Radici al Villaggio Italia realizzato nel porto di Los Angeles, grande successo ha avuto “Torna a Casa” e “Il Simposio degli Dei” di Marco Savatteri Production. La prima è una performance narrativa unica, un invito simbolico e una celebrazione dedicata agli emigrati italiani nel mondo, un richiamo alle proprie radici. L’evento ha visto la partecipazione di 18 performer tra ballerini, cantanti, attori e acrobati. La loro esibizione ha rappresentato un viaggio emozionale verso le proprie origini, rappresentando in musica la tragedia della Triangle Shirtwaist Factory a New York nel 1921.

La seconda parte ha visto la rappresentazione omerica del viaggio di Ulisse che ritorna a casa nella sua amata Itaca. Inoltre, è stato firmato, insieme a tante autorità del posto, il Libro delle Radici, il cui primo firmatario è stato Celestino Drago, chef originario di Galati Mamertino, simbolo della cucina siciliana ed italiana in California. Tra i firmatari ci sono stati anche Giuseppe Lai, Comandante della nave Amerigo Vespucci, Vincenzo Andronaco da Amburgo, Peppe Cappellano da Rotterdam, Alessandro Miceli da Dubai, il sottosegretario Valentino Valentini, il presidente nazionale dell’UNPLI Antonio La Spina, lo scultore Jago e molti altri.

Al Villaggio Italia a Tokyo, l’appuntamento è stato un abbraccio culturale tra Oriente e Occidente: il Made in Sicily ed Enit hanno presentato la performance artistica del maestro giapponese Nakajima Hiroyuki e del sottoscritto. Un evento unico nel suo genere che ha unito due mondi artistici, distanti ma accomunati da un profondo rispetto per le radici culturali: la tradizione giapponese della calligrafia e la secolare arte della ceramica artistica siciliana. La performance è in continuità con quanto realizzato a Los Angeles, con la presentazione del Libro delle Radici. A Tokyo abbiamo lavorato sull’incontro e lo scambio di radici diverse eppure fortemente compatibili. Il tema delle radici è centrale anche nel dibattito giapponese. Questa performance ha rappresentato un vero e proprio abbraccio culturale tra Italia e Giappone, un momento di contatto artistico che celebra le radici e le tradizioni di due culture millenarie, proiettandole nel presente con uno sguardo verso il futuro.

Il mio intervento artistico ha trovato le sue radici nei colori e nei decori della Sicilia, soprattutto in quelli arabo-spagnoli. L’obiettivo della mia performance è stato quello di far emergere con passione che l’origine delle forme e dei colori del mio intervento artistico è strettamente connessa alle mie radici siciliane.

La Sicilia è la tua terra d'origine ma il mondo intero sta diventando il tuo terreno espressivo: hai altri progetti che ti porteranno oltre mare?

Nato in Sicilia, a Motta d’Affermo, nel 1969, mi sono specializzato in scultura e progettazione del design ceramico, oltre che in decorazione di ceramica artistica. Sono profondamente legato al mio territorio e alla tradizione della ceramica di Santo Stefano di Camastra (ME), dove insegno presso il Liceo Artistico Regionale “Ciro Michele Esposito”. Le mie opere sono state esposte sia in Italia che all’estero. Inoltre, mi sono avvicinato molto alla cultura siciliana e alla tecnica Raku, che esprime l’essenza Zen dell’imperfezione, praticandola intensamente. Tutto questo è diventato per me un terreno espressivo che mi ha portato anche in Cina, e che oggi mi vede impegnato in una bellissima avventura con il Made in Sicily, a seguito del Tour Mondiale 2023-2025 della nave scuola Amerigo Vespucci.

Durante le trasferte che hanno dovuto affrontare le tue ceramiche hai vissuto alcune disavventure che, però, hanno avuto un lieto fine. Esattamente cosa è successo?

Il 26 agosto, al Villaggio Italia a Tokyo, ha avuto luogo una performance artistica che ha visto la collaborazione tra me e il maestro giapponese Nakajima Hiroyuki. L’Italia abbraccia il Giappone, un evento pensato per dare una rappresentazione visiva della collaborazione tra due popoli e due Paesi apparentemente lontani, ma estremamente affini. Un momento di contatto artistico che celebra le radici e le tradizioni di due culture millenarie, proiettandole nel presente con uno sguardo verso il futuro. L’evento è stato prodotto dal Made in Sicily in collaborazione con Enit, a cura di Giovanni Callea e Davide Morici.

In occasione della performance, la presenza della ceramica al Villaggio Italia a Tokyo è stata una grande opportunità per dare visibilità e valore a un settore molto importante per la Sicilia. Queste sono state anche le parole dell’onorevole Edy Tamajo, assessore delle Attività Produttive della Regione Siciliana, che ha parlato di radici, ma anche del futuro della nostra terra.

Durante i giorni della permanenza a Tokyo, due piatti del Vespucci e una testa di moro si sono rotti accidentalmente. Pertanto, abbiamo subito contattato un’esperta di Kintsugi, Jka Aya, che con molta cortesia e la sua enorme cura ci ha ospitati nel suo laboratorio per oltre sei ore per riparare i due piatti del Vespucci. L’iniziativa è nata dal racconto della metafora utilizzata dal maestro Hiroyuki, che, attraverso la tecnica del Kintsugi, ripara con l'oro tutto ciò che è porcellana o ceramica artistica rotta, conferendole un notevole valore simbolico. La stessa cosa è stata fatta con la testa di moro.

Per me, Davide e Giovanni, l’incontro con il maestro Hiroyuki è stato reso memorabile proprio dall'incontro con persone come Jka Aya, dal loro amore per la propria cultura e dalla grande curiosità verso altre culture.

Da qualche tempo si è avviata una proficua collaborazione con Il Made in Sicily, iniziativa che vuole promuovere le eccellenze siciliane nel mondo. Quali i progetti che nasceranno da questa sinergia?

Con il team de il Made in Sicily stiamo lavorando con grande entusiasmo sul progetto Torna a casa, un rientro alle proprie radici da parte dei tantissimi siciliani che vivono all'estero ma che hanno mantenuto saldo il loro rapporto con la terra d'origine. Nello sviluppo dell'entusiasmante progetto è prevista la nascita del Museo del Made in Sicily che che sorgerà a Palermo.

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Halaesa Nebrodi 09/11/2024

Gente di Halaesa-Nebrodi: Filippo Fratantoni

Varcare la soglia del grande edificio che ospita lo showroom-fabbrica delle Ceramiche Fratantoni significa immeggersi immediatamente in un mondo i cui contorni sono ben definiti dal grigio dell'argilla ('a rita in dialetto locale) dei tantissimi vasi, teste di moro, portalumi lavorati e lasciati a riposare in attesa di smaltatura e cottura,  a cui fà da contraltare l'esplosione dei vivaci colori usati per la decorazione dei manufatti finiti che invadono lettereralmente gli spazi espositivi. Al centro del palcoscenico di una rappresentazione che va avanti da quasi cento anni, spicca una postazione di lavoro, circondata da manufatti già lavorati ma in attesa di decorazione e cottura: una magnifica scelta scenografica e comunicativa che racconta tanto di questa antica arte espressiva che solamente alla fine di un lungo ciclo lavorativo trova la sua espressione finale. 
Dentro a questo complesso e antico mondo vi sono le persone, gli artigiani e la maestranze che da secoli si dedicano a questa magnifica arte e che hanno reso celebre Santo Stefano di Camastra nel mondo: i ceramisti o, per usare un termine meno noto, i ceramicari.
Filippo Fratantoni è uno di questi, figlio di ceramisti e ceramista egli stesso, personaggio poliedrico, da sempre dentro la vita sociale della sua Santo Stefano di Camastra alla quale ha dedicato anche una lunga parentesi politica. 

Filippo questa chiaccherata avviene all’interno di una delle attività storiche di Santo Stefano di Camastra: l’azienda Ceramiche Fratantoni figlia della Ditta Fratelli Fratantoni fondata nel lontano 1935. Cosa è successo in questi 89 anni di attività? 

L'attività nasce nel dopoguerra quando mio nonno e suoi quattro figli misero in piedi una bottega artigianale dove producevano 'i marazzetri, 'i cusuzze che altro non erano se non giocattoli ispirati agli oggetti di uso quotidiano. Così facendo, attraverso quattro torni usati per la lavorazione, realizzavano piccoli bummuli, quartare, lemmi, rasticetri riproponendo in miniatura ciò che, da tempo, producevano gli artigiani stefanesi all'interno delle loro botteghe. I piccoli pezzi realizzati venivano acquistati da venditori ambulanti che, a bordo dei loro carretti, andavano poi a vendere nei mercatini locali per pochi spiccioli consentendo così, ai bambini meno abbienti, di avere anche loro un modesto giocattolo con cui divertirsi.
Successivamente, al termine della seconda guerra mondiale, avviene il salto di qualità e la famiglia Fratantoni, grazie all'acquisto di magazzini e locali più ampi, si dedica alla produzione di terracotte per uso quotidiano ed edilizio, rimanendo ancora al di fuori dei prodotti ceramici cosi come li vediamo oggi.
In realtà allora fornaci e botteghe erano ancora dislocate fuori paese, lungo la nazionale (SS.113) che portava verso Messina da cui passava tutto il modesto traffico veicolare dell'epoca. Erano i duri anni '50 del dopoguerra ma, successivamente, grazie alla ripresa economica, comiciarono a vedersi prima Fiat 1100, poi Fiat 600, qualche autobus di linea e anche turisti che, attratti dalla merce messa ad asciugare dai numerosi artigiani bordo strada, cominciarono ad essere interessati all'acquisto del prodotto esposto. Da questo momento in poi cresce l'interesse anche a produrre e vendere ceramiche decorate per cui nasce  'a scola ceramica, oggi Liceo Artistico, che comincia a formare i primi decoratori a supporto dei mastri vasai, momento cruciale visto che le maestranze  dell'epoca non avevano le competenze per colorare i loro manufatti.
Il nostro interesse è sempre stato rivolto alla riproduzione di piastrelle e mattoni della tradizione stefanese ottocentesca e, negli anni '70, abbiamo brevettato la smaltatura delle lastre in pietra lavica con cui abbiamo iniziato a costruire tavoli di varie forme e dimensioni altrimenti irrealizzabili con l'argilla, materiale fortemente penalizzato in termini di resistenza e contrazione alla cottura.
Oggi la nostra azienda è arrivata alla quarta generazione, io e i miei fratelli ci dedichiamo alla produzione della linea classica, in particolare modo della produzione di piastrelle, mentre ai ragazzi lasciamo la libertà di sperimentare i nuovi mondi e i nuovi spazi realizzativi proposti  dalle ceramiche moderne.

Alcuni anni fa abbiamo assistito all'invasione di prodotti d’origine estera, sopratutto cinese,  che nulla hanno a che vedere con quelli artigianali, distraendo il consumatore e generando grande confusione. Come ha risposto la comunità dei ceramisti stefanesi a questa ingombrante presenza, quali contromisure ha preso e cosa è cambiato nel rapporto con l’utente finale.

Abbiamo semplicemente continuato a fare il nostro lavoro e a farlo bene.
La vera invasione c'è stata ma è anche passata: oggi dalla Cina arrivano perlopiù riproduzioni di pigne e teste di moro che poco incidono con il nostro lavoro. Mio padre ci diceva sempre: "Non scoraggiatevi, la ceramica ha sempre dei momenti di alti e di bassi" e devo dire che così è stato. Oggi siamo in un momento di grande ripresa, il gusto delle persone si va affinando e sa riconoscere un oggetto per la qualità che esprime, le nuove generazioni sono sempre più attratte dal nostro mondo grazie anche alla presenza dei media e dei social che hanno dato nuovo impulso al nostro settore. Basti pensare alla proiezione internazione che hanno dato alla Testa di moro gli stilisti Dolce e Gabbana presentandola in alcuni loro spot pubblicitari, ciò ha dato risalto ad un oggetto che c'è sempre stato ma che indubbiamente, grazie al loro intervento, è diventato ricercatissimo. 

Il nome di Filippo Fratantoni è strettamente legato al MUDIS, acronimo di Museo Diffuso Stefanese di cui sei il Direttore artistico. Mi incuriosisce l’utilizzo del termine "diffuso" e, nello stesso tempo, vorrei approfondire la sua storia che parte da Giuseppe Lanza Barresi Duca di Camastra.

Noi abbiamo sempre creduto che Santo Stefano di Camastra è un museo a cielo aperto. Il MUDIS nasce da una visione nata negli anni '80 grazie al compianto sindaco Gigi Famularo che si adoperò per trovare i fondi necessari al recupero del palazzo appartenuto al Duca di Camastra, lì nacque il Museo della ceramica con ampi spazi espositivi dedicati alla storia della ceramica stefanese e siciliana che convivono con una importantissima collezione di ceramiche artistiche moderne. Accanto a questo, nell'ambito del progetto del museo diffuso, vi sono delle installazioni sparse lungo la città e le botteghe stesse dei nostri artigiani ne sono parte integrante, attraverso i loro negozi e i coloratissimi spazi espositivi che si affacciano, in maniera molto scenografica, sulle strade principali di Santo Stefano.


La ceramica artistica è un driver turistico molto importante, soprattutto se vengono create le sinergie giuste con altre realtà regionali e nazionali. Trovo molto interessante l’iniziativa del Passaporto della Strada delle  ceramiche che vuole unire sei comunità siciliane in un percorso conoscitivo, molto stimolante, del mondo delle ceramiche e di cui Santo Stefano è parte integrante. Il Passaporto è stato presentato il 24 marzo di quest’anno, io c’ero, ma non ho visto molti ceramisti presenti: quante attività hanno aderito al progetto  e che sviluppi vedi in quest’iniziativa?

E' vero. Per quanto noi ceramisti abbiamo rapporti reciproci cordiali e collaborativi ma siamo piuttosto restii ad uscire dalla nostra bottega e confrontarci su progetti collettivi e di ampio respiro. Talvolta in passato non si sono visti i risultati attesi e ciò ci ha spinto a rinchiuderci sempre più nelle nostre singole attività, evitando il confronto professionale con gli altri colleghi e quindi abbiamo via via rinunciato a creare le giuste sinergie. Penso che invece dovremmo cambiare atteggiamento. 
Riguardo al Passaporto della Strada delle ceramiche ritengo che è stata e rimane un'iniziativa valida nella quale l'attuale amministrazione crede e in cui ha speso tante energie.
Probabilmente andrebbe rivista in alcuni passaggi ma l'iniziativa è davvero interessante.

Le sfide del terzo millennio ci avvicinano sempre più ad un mondo robotizzato e informatizzato: pensi che il mondo della ceramica e dell’artigianato in generale, presto o tardi, dovrà adeguarsi a questa rivoluzione non-gentile? Un robot utilizzerà mai una stecca per modellare una Testa di moro o un pennello per smaltare una Matrangela?

In realtà già esistono le stampanti 3D che sono entrate nel mondo della ceramica industriale. Con loro e grazie a loro oggi si possono realizzare delle lastre in lamina decorata di 3 metri quadrati con spessori di pochi millimetri che sarebbe impossibile realizzare con i macchinari tradizionali. Ma stiamo parlando di produzioni industriali e su larga scala.
L'artigianato è un'altra cosa: è un luogo dove si incrociano 'a rita, la creatività, il cuore e la manualità, non credo possa mai esistere un robot che possa mettersi di mezzo e sostituire l'artigiano-artista, almeno sotto questo aspetto.

Per finire, Filippo, la tua storia racconta di una persona che si è speso per la sua azienda, per la sua famiglia e per la sua comunità. Hai un sogno nel cassetto che vorresti affidare alle  generazioni future?

Il sogno c'è e lo tengo nel cassetto da diversi anni: mi piacerebbe che si relizzasse un grande museo della ceramica contemporanea con giovani artisti provenienti da tutto il mondo che si ritrovano a Santo Stefano per sognare, sperimentare e realizzare opere d'arte contemporanee. Sarebbe un valido strumento di attrazione culturale e turistica da affiancare alle opere d'arte contenute nel Museo diffuso di Fiumara d'arte che rafforzerebbe ancora di più la vocazione turistica e artistica del nostro territorio.

Conosci gli Operatori e il Progetto del GMT˜Halaesa-Nebrodi.

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